Carlo Farzetti | Talk Show Host

DIARIO - GIORNO CINQUE

GIORNO NON SO

Finito lavoro. Stop. Stanco tanto. Stop. Poco studio. Stop. Niente da fare. Stop.
Basterebbe questo. Poco altro da dire.
Il lavoro è andato come doveva. Lungo, logorante e solitario. Dicono che formi il carattere. Dicono che nobiliti l’uomo. Per me s’impara solo ad accettare la solitudine. Ad avere freddo dappertutto. S’impara a guardarsi i piedi e a non pensare. QUESTO è il loro lavoro. E mi è anche andata bene. Che avevo un capo tranquillo, non abituato a dare ordini. Ma ho pestato troppo cemento per sentirmi bene, e dopo i primi giorni manifestavo già una certa insofferenza alle strade e allo scalpiccio che producevo, monotono e chiassoso insieme. Alla fine speravo di sentirmi meglio, tipo appagato, ma mi sento soddisfatto come ad aver rovistato nel letame per tirare fuori un tappo di bottiglia.
Poi, definitivamente mi sono arreso al fatto di essere innamorato di una persona che non esiste più. E nella peggiore delle ipotesi non è mai esistita. Nessuna risposta. Niente. Come una perfetta terapia di disintossicazione, sempre meno, fino all’assoluta astinenza. La sogno tutte le notti e la dimentico al mattino. Non ricordo nulla dei nostri incontri notturni, sento solo la sua mancanza al risveglio. In realtà non dovrei nemmeno pensarci. Dovrei solo studiare, come probabilmente sta facendo lei. Buttarsi sui libri sulle nozioni, su quando nasce uno e crepa l’altro, sui tratti caratteristici dell’edizione critica del porcodio e delle possibili analisi di lettura, sulla cpu e la ram e la rom e il bus e tutto il resto. Questo è quello che dovrei avere in testa. Me la vedo, lei tutta presa dai suoi libri e schemi, nessuna distrazione, nessun pensiero che non sia necessario e adeguatamente filtrato. Niente. Nessuno spazio per me. cancellato dopo due anni in meno di due mesi. Un record.
Eppoi sta lagna continua che mi esce dalla bocca, e non si ferma mica. E mi concentro anch’io a fare il serio e maturo, ma mi pare quasi di fare un torto alla mia sensibilità. Che è così che te le dimentichi. Passano gli anni e hai sempre bisogno di serietà e maturità e pian piano certe sensazioni te le dimentichi, come se neanche le avessi mai provate. Come fissare un piccolo stormo di uccelli che attraversano il blu in alto e tu stai disteso in basso con i grilli che sfrittano. Oppure che stai di notte ad ascoltare un pezzo jazz bello bello e stai bene sul serio. Anche pensare paradossi guardando la tv muta e costruendo sopra dialoghi improbabili ed infantili. Piccole cose, mica necessarie, però che distinguono le persone vive da quelle morte. Ognuno ha le sue. Ed ognuno dovrebbe riuscire a distinguere la soglia delle propria assenza di vita. Ma lo standard è fisso su una morte apparente che riguarda un po’ tutti e che vorrebbero spacciare per benessere.
Poi ci sono le giornate che sei proprio agli sgoccioli, e ti vedi rughe, occhiaie e calvizie che preannunciano la fine. Giornate che sono anni. E passano velocissime, e nemmeno te ne accorgi. E la solitudine è la cosa peggiore. Soprattutto dopo che sei stato innamorato e magari lo sei ancora per riflusso.
Tornare a prima, quello vorrei. Tornare a prima di scoprire il significato di amare. Quando le cose mi appartenevano di diritto e ed era tutto molto molto più semplice.

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Daniele Cortese: Laptop, Chitarra


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