GIORNO NON SO
Finito lavoro. Stop. Stanco tanto. Stop. Poco studio. Stop. Niente da
fare. Stop.
Basterebbe questo. Poco altro da dire.
Il lavoro è andato come doveva. Lungo, logorante e solitario. Dicono
che formi il carattere. Dicono che nobiliti l’uomo. Per me s’impara
solo ad accettare la solitudine. Ad avere freddo dappertutto. S’impara
a guardarsi i piedi e a non pensare. QUESTO è il loro lavoro. E
mi è anche andata bene. Che avevo un capo tranquillo, non abituato
a dare ordini. Ma ho pestato troppo cemento per sentirmi bene, e dopo
i primi giorni manifestavo già una certa insofferenza alle strade
e allo scalpiccio che producevo, monotono e chiassoso insieme. Alla fine
speravo di sentirmi meglio, tipo appagato, ma mi sento soddisfatto come
ad aver rovistato nel letame per tirare fuori un tappo di bottiglia.
Poi, definitivamente mi sono arreso al fatto di essere innamorato di una
persona che non esiste più. E nella peggiore delle ipotesi non
è mai esistita. Nessuna risposta. Niente. Come una perfetta terapia
di disintossicazione, sempre meno, fino all’assoluta astinenza.
La sogno tutte le notti e la dimentico al mattino. Non ricordo nulla dei
nostri incontri notturni, sento solo la sua mancanza al risveglio. In
realtà non dovrei nemmeno pensarci. Dovrei solo studiare, come
probabilmente sta facendo lei. Buttarsi sui libri sulle nozioni, su quando
nasce uno e crepa l’altro, sui tratti caratteristici dell’edizione
critica del porcodio e delle possibili analisi di lettura, sulla cpu e
la ram e la rom e il bus e tutto il resto. Questo è quello che
dovrei avere in testa. Me la vedo, lei tutta presa dai suoi libri e schemi,
nessuna distrazione, nessun pensiero che non sia necessario e adeguatamente
filtrato. Niente. Nessuno spazio per me. cancellato dopo due anni in meno
di due mesi. Un record.
Eppoi sta lagna continua che mi esce dalla bocca, e non si ferma mica.
E mi concentro anch’io a fare il serio e maturo, ma mi pare quasi
di fare un torto alla mia sensibilità. Che è così
che te le dimentichi. Passano gli anni e hai sempre bisogno di serietà
e maturità e pian piano certe sensazioni te le dimentichi, come
se neanche le avessi mai provate. Come fissare un piccolo stormo di uccelli
che attraversano il blu in alto e tu stai disteso in basso con i grilli
che sfrittano. Oppure che stai di notte ad ascoltare un pezzo jazz bello
bello e stai bene sul serio. Anche pensare paradossi guardando la tv muta
e costruendo sopra dialoghi improbabili ed infantili. Piccole cose, mica
necessarie, però che distinguono le persone vive da quelle morte.
Ognuno ha le sue. Ed ognuno dovrebbe riuscire a distinguere la soglia
delle propria assenza di vita. Ma lo standard è fisso su una morte
apparente che riguarda un po’ tutti e che vorrebbero spacciare per
benessere.
Poi ci sono le giornate che sei proprio agli sgoccioli, e ti vedi rughe,
occhiaie e calvizie che preannunciano la fine. Giornate che sono anni.
E passano velocissime, e nemmeno te ne accorgi. E la solitudine è
la cosa peggiore. Soprattutto dopo che sei stato innamorato e magari lo
sei ancora per riflusso.
Tornare a prima, quello vorrei. Tornare a prima di scoprire il significato
di amare. Quando le cose mi appartenevano di diritto e ed era tutto molto
molto più semplice.