lei aveva fame, quindi ci dirigemmo
verso una birreria vicina.
birreria chiusa visto l'orario improbabile.
arriviamo sempre tardi, arriviamo sempre quando non c'è più
niente da vedere.
non restava altro che andare a casa.
durante il ritorno passammo vicino ad una via, una via che non percorrevo
da almeno una quindicina d'anni.
freccia a destra. fari abbaglianti. dove vai?
lungo quella stretta via di campagna, imboccando una strada bianca, si
arrivava alla vecchia casa dei miei nonni materni.
è da quando mia madre tagliò i rapporti con la sua famiglia,
che non vedo quelle zone.
una casa nuova, qui? e poi andando più avanti: guarda è
spuntato un quartiere nuovo!
la strada bianca era ancora tale, e inoltrandoci nei campi per un centinaio
di metri, arrivammo alla casa.
ricordo quando da bambino arrivavo in quella casa. scendevo dalla macchina
nel verde e trovavo mia nonna che ci aspettava in piedi sorridente, le
mani raccolte dietro la schiena. in piedi sotto la barchessa coi nidi
di rondini. la barchessa con l'entrata della stalla e dell'abitazione,
l'odore della stalla, i muggiti. barchessa che dava sulla corte dove parcheggiavamo
la macchina illuminata dal sole pallido. ed intorno, i barchi coi trattori
e gli arnesi di vario genere, il covone di paglia, il granaio, la concimaia,
il pozzo senz'acqua, chiuso. tutto come ciquant'anni prima, come cent'anni
prima forse.
poi entravamo nella casa, per l'anticamera con la scala prima e nella
cucina dopo. cucina con due tavoli perchè era un'abitazione condivisa
da due famiglie, cucina sempre riscaldata da una stufa accesa, il soffitto
in legno, i vestiti appesi ad asciugare, l'odore di fumo e muffa, i muri
giallastri e scrostati, il pavimento in cotto sempre umido.
un paio di volte andammo al piano superiore dove c'era la camera dei nonni.
ricordo il rumore dei passi sul pavimento in legno, ricordo mia nonna
parlare e mia madre annuire in silenzio. ricordo un'altra scala che portava
in soffitta e che non ho mai avuto il coraggio di salire.
ricordo d'aver pensato che il futuro non mi sarebbe mai piaciuto.
dopo successe una lite furiosa. e molto dopo successe che i miei nonni
morirono. prima uno poi l'altra. e prima ancora successe che la casa venne
venduta e abbandonata.
e dopo che tutto questo finì, molto dopo, arrivammo io e lei di
fronte ad una casa che cadeva a pezzi, recintata per intero da una rete
arruginita avvolta da un'ulteriore rete in plastica rosso/arancione, rete
che non lasciava possibilità d'entrata.
la casa era solo una massa scura, lasciata a coprire sé stessa
dai suoi stessi pezzi. lasciata a disfare. non una luce, non un riferimento
qualsiasi.
tentammo di illuminare la corte e la barchessa coi fari, ma la rete rimandava
un riverbero che toglieva ogni possibilità di chiarezza.
si vedeva soltanto l'erba alta prima e gli ultimi piani dopo.
cosa proverebbe mia madre se fosse qui, ora?
si vedevano i balconi chiusi della soffitta che non ho visitato mai.
per quanto ne so questa casa è la sua infanzia. ed in un certo
senso anche la mia.
si vedeva il profilo dei barchi. da dietro, perchè qualcuno ha
continuato la strada ignorando la corte, passando esternamente, tagliando
quegli alberi che occupavano quel posto molto prima di quella cazzo di
strada non ancora battuta.
per tutto il tempo non scendemmo dall'auto. appoggiai il mento al finestrino
mezzo aperto e rimasi a guardare quella casa a decomporsi. pensavo solo
all'abbandono ed alla solitudine.
guardavo i miei ricordi mentre stridevano lungo quei muri ora cadenti.
poi lei disse qualcosa.
ingranai la prima in silenzio.
e ce ne andammo senza raccogliere nulla.
non ce n'era bisogno.
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