la
mattina del 30.12.00
sistemai nello zaino la macchina fotografica ed un tozzo di pane.
niente panino, visto che le cose contenute nel frigo erano scadute o inadatte.
frugando fra i vuoti della spazzatura di casa, recuperai una bottiglia
di plastica, riempiendola con acqua di rubinetto.
misi nello zaino anche quella.
poi mi diressi alla stazione ferroviaria più vicina dove comprai
un biglietto per un capolinea verso le montagne.
avevo voglia di vedere la neve.
e soprattutto di fotografare qualcosa diverso dai miei logori spazi.
in quella giornata di sole freddo.
mi sentivo sveglio come non mai.
alle 11 e 32 obliterai il biglietto e poco dopo arrivò il treno.
scattai qualche foto dal finestrino, documentando la partenza e tutte
le fermate nelle stazioni successive.
non c'era molta gente in viaggio. almeno nel mio vagone, i sedili erano
quasi tutti vuoti.
tranne quelli occupati da una coppietta, un vecchio col raffreddore ed
una ragazza nient'affatto male.
dopo un'ora di viaggio in campagna, il treno varcò le montagne,
attraversando zone improbabili.
è sorprendente come un treno riesca ad insinuarsi fra i segreti.
apparendo un confidente discreto.
nonostante la mole che fa vibrare il terreno ed il baccano assordante.
il rumore delle ruote sulle rotaie. di di un treno che passa.
mi ricorda il rumore di un corpo che ruzzola dalle scale. mentre sbatte
gomiti, denti e ginocchia sui gradini.
sugli spigoli dei gradini.
a mano a mano che ci si avvicinava al capolinea, il dialogo fra treno
e montagna si faceva sempre più intimo, le gole sempre più
strette, i burroni sempre più profondi.
la violenza del dialogo scoppiava nelle gallerie, sempre più lunghe
e frequenti, raggiungendo l'apice di un'intimità ambigua.
accogliendo il treno nel proprio ventre, la montagna poteva nascondersi;
in quei momenti, nel buio, nessuno poteva conoscerne l'aspetto, tantomeno
le reazioni.
poi, d'un tratto la neve.
biancore ovunque.
nelle zone in ombra la neve prendeva una tonalità bluastra, perchè
in quelle macchie c'era il riflesso del cielo.
ma non aveva un bell'aspetto. era neve marcia.
ore 14. capolinea.
dopo quasi due ore e mezza di viaggio.
uscendo dalla piccola stazione, oltrepassando i passeggeri con gli sci
sottobraccio, m'inerpicai lungo le viuzze del paese tipicamente turistico.
dirigendomi a piedi verso non so dove.
ogni tanto la neve ghiacciata sui marciapiedi in salita mi faceva perdere
l'equilibrio, pericolosamente.
trovai delle indicazioni che mi guidarono fino ad arrivare in un bosco,
al di fuori del paese.
camminando tra gli alberi consumai il mio povero pranzo, spargendo briciole
sulla neve.
poi scattai qualche altra foto.
un ramo. una fontanella con dei rifiuti intorno. la cima di una montagna.
una nuvola. i miei passi sulla neve. le briciole.
avevo deciso di spingermi avanti per massimo un'ora dall'arrivo in stazione.
sul
tabellone degli orari avevo visto che il treno del ritorno sarebbe partito
alle 16.
dopo aver esaminato l'esterno di un edificio che aveva tutta l'aria di
essere un colleggio estivo, dopo essere sceso a toccare l'acqua di un
torrente nei pressi della strada, il tempo a mia disposizione, era già
finito.
percorsi a ritroso la strada di prima.
nella via del ritorno le cose assumono un altro aspetto.
tuttavia, sono sempre le stesse.
dal treno osservai il cielo tramutarsi nel buio, finché i riflessi
del finestrino diventarono troppo forti per vederne oltre.
tuttora conservo il biglietto di quel viaggio. è l'unica testimonianza
che mi è rimasta.
nella macchina fotografica non avevo messo il rullino
e l'ho fatto di proposito.
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